
articolo/intervista di Claudia Osmetti pubblicato a pagina 39 dell’edizione di giovedì 16 giugno di Libero quotidiano
Sono partiti dal nulla, i volontari dell’associazione Le Vele.
Con in testa quel progetto, di dare una mano ai ragazzini che hanno alle spalle famiglie fortemente in difficoltà.
Era il 1987, a Segrate: il loro quartier generale era la parrocchia di Santo Stefano, si erano conosciuti in oratorio. Ma adesso guardali lì, nella loro «Cascina solidale» che si sono costruiti da soli, trasformando un vecchio rudere in un centro attrezzato: grazie alle donazioni, ai finanziamenti e ai bandi pubblici.
Guardali lì, nei laboratori che han messo in piedi per gli adolescenti; nei centri diurni che sconfinano pure la sera (se ce n’è bisogno); nei piani per il recupero della dispersione scolastica (che passate le elementari e le medie diventa un problema serio).
«Il nostro scopo è fare in modo che bambini e famiglie non si debbano separare, anche quando è complicato, anche quando è una sfida », racconta Monica Cambiaghi che a Le Vele fa la presidente e lo dice con un pizzico d’orgoglio, come è giusto che sia: «All’inizio eravamo solo un gruppo di volontari, adesso abbiamo un’associazione e anche una fondazione».
È il lavoro. Quello duro, quello a testa bassa. Che se lo fai con un obiettivo sociale (per esempio per «non interrompere un legame che pure c’è, anche se è difficoltoso») allora vale doppio. Magari triplo. Lo vedi nei sorrisi di quei ragazzi.
Da quando hanno iniziato, Cambiaghi e i suoi, hanno aiutato qualcosa come 1.200 ragazzi. Che vuol dire 1.200 famiglie. Non è una bazzecola, son numeri che fanno la differenza. «Noi tendiamo a creare gruppi non troppo corposi», spiega la responsabile, «perché questi minori hanno bisogno di attenzioni particolari. All’anno, mediamente, riusciamo a seguirne una settantina».
Prendi il loro progetto di scuola-bottega. È un laboratorio che ha diverse sezioni: c’è il panettiere che insegna i segreti dei lievitati e l’artigiano che scolpisce manufatti artistici, ma c’è anche il meccanico e l’esperto del verde. È un modo per insegnare agli adolescenti delle competenze. Delle capacità. Per dar loro la possibilità di trovare un lavoro. Ecco, i laboratori de Le Vele non sono accreditati nel sistema regionale perché «per poterlo fare dovremmo ampliare la platea di riferimento», aggiunge Cambiaghi, «cioè dovremmo avere un minimo di quindici iscritti a “corso”. Noi arriviamo a malapena a cinque». Perché di più è impossibile, mica per una mancanza di volontà. Epperò succede pure che, quando i centri che, invece, nel sistema regionale, si sono accreditati eccome proprio non ci riescono, a gestire un ragazzo che evidentemente ha bisogno di un’attenzione in più, questo finisca qui. «E molti di loro», puntualizza la presidente, «cioè una percentuale che sta intorno al 90%, un impiego, dopo, lo trova per davvero. Noi non vogliamo occupare le giornate di questi ragazzi, vogliamo che trovino un’abitudine. Una loro normalità ». Hai detto poco.
(…) I volontari de Le Vele (che si occupano non solo di Segrate, ma ditutti i Comuni limitrofi, compreso quello di Milano) vanno a prenderli all’uscita di scuola e li riaccompagnano a casa, se c’è qualcuno ad aspettarli, la sera alle 19. «Negli ultimi cinque anni ci siamo occupati anche dei disabili lievi», Cambiaghi è una che non sta ferma un attimo, «abbiamo aperto uno Sfa, ossia un Servizio di formazione dell’autonomia.
Tanto per dirne una: alla “Cascina solidale” che è la nostra sede (si trova a Pioltello, ndr) siamo riusciti ad assumerne qualcuno». Fanno gli aiuto cuoco, i camerieri: questi ragazzi a cui è stata data una nuova vita. E visto che a Le Vele il motto sembra essere solo uno (“guai a mollare”), Cambiaghi si è recentemente tuffata in un nuovo progetto: «Si chiama “Dopo di noi” ed è pensato come un luogo protetto per quando queste persone rimarranno, purtroppo, sole», chiosa, «una mini Rsa per dodici posti e alcuni bilocali destinati a chi potrà continuare a vivere in autonomia.
Noi facciamo tutto principalmente su base volontaria, non ci guadagniamo niente ma abbiamo bisogno di poter coprire i costi che ci sobbarchiamo. Altrimenti non potremmo più continuare a fare questo in futuro ». E sarebbe un peccato.
Claudia Osmetti